Il miracolo dell’esistenza umana ha acceso nel tempo la fantasia di molti filosofi, che hanno tentato invano di spiegarlo, ma sono riusciti solo a confinarla in concetti e teorie aride e senza vita.

In realtà, il miracolo della vita non può essere spiegato direttamente a parole. I saggi osservarono che la vita ha i propri cicli, un proprio ritmo, che è molto simile al ciclo naturale del susseguirsi delle stagioni. Nel ciclo annuale ogni stagione “scorre” e confluisce nella successiva, attraverso il miracolo della vita. Simbolicamente, ma anche concretamente, la vita sboccia nella stagione primaverile, quando inizia il suo cammino che attraversa la nascita, la maturità, la procreazione, la vecchiaia e la morte, per aprire la strada a una vita nuova.

Non appena il primo bucaneve fa capolino con le sue foglie dalla terra nera e fertile, evoca per noi una vera celebrazione della vita. È come se potessimo sentire il crescere delle foglie verdi e vigorose delle piante che donano bontà al nebbioso cielo invernale, per poi sospirare di gioia alla luce del sole. Il loro dolce profumo è pieno della promessa di inizi fruttuosi e attendiamo con ansia l’avventura del nostro ciclo di un anno, ansiosi di iniziare il nostro viaggio spirituale.

All’inizio di ogni ciclo di vita, i pesci nuotano nelle pozze d’acqua in cui sono nati, le rane tornano nei loro luoghi familiari per deporre le uova e gli uccelli, alcuni dei quali hanno viaggiato per lunghe distanze, tornano con le loro compagne e sorelle dalla terra dove hanno svernato, e procedono a riparare i loro vecchi nidi, che sono stati danneggiati dalle intemperie dell’inverno. Tutto è ormai pronto per la procreazione, che rinnova il mondo, rigenerando tutto ciò che appartiene alla vita. Da parte nostra, è necessario svegliarci e uscire dall’illusione di essere separati dagli altri, per comprendere che siamo tutti profondamente connessi nello Spirito, realizzando questo approccio trasformativo a livello della coscienza spirituale, la realtà metafisica che rappresenta l’unità dell’intera Creazione.

Nascita, Rinascita e Principio Femminile Universale (MAHA SHAKTI)

La primavera è tradizionalmente vista come la stagione della donna, il periodo della gestazione e della procreazione. Le immagini caratteristiche di questa stagione sono femminili e rappresentano lo Spirito creativo che risiede sia negli uomini che nelle donne. Indipendentemente dal fatto che l’immagine femminile sia associata o meno alla maternità, la sua presenza attira l’attenzione sul potere e sull’importanza della creatività femminile nelle nostre vite. La Madre Terra, che dà la vita agli animali e alle piante, è la sua immagine archetipica.

La purezza e la sacralità di certe pose della femminilità, che ritroviamo anche in molte culture e tradizioni, indicano lo scopo creativo che la donna ha nella Manifestazione. Troviamo questo tipo di immagini in molte culture e tradizioni. Nell’Induismo, PARVATI (Regina della Montagna), l’amante di SHIVA, il dio della trasformazione e della rigenerazione, dà vita a GANESHA, il dio della saggezza, che rimuove tutti gli ostacoli dal cammino dei suoi aspiranti (VINYAKARA), modellandolo nell’argilla e gettando su di lui l’acqua da un fiume sacro. Gli gnostici adoravano SOPHIA (Sapienza), l’aspetto femminile della loro Divinità, che poteva dar vita ad una Creazione autonoma. Per i cristiani, la Vergine Maria incarna la purezza e l’amore incondizionato di una madre, mentre Maria Maddalena rappresenta l’amore sensuale e l’erotismo mistico. Nel Buddismo (tibetano) MAHAYANA, TARA la Verde e la Giovane è considerata la BODHISATTVA femminile, il cui colore suggerisce vigore e forza dinamica. I musulmani venerano il ruolo della madre, per la sua fecondità e per la cura che riserva ai neonati. In tutto il mondo, gli esseri umani sono sempre stati testimoni del misterioso potere della Madre Terra, attribuendo proprietà mistiche alla gravidanza e alla nascita. In tutte le culture e tradizioni spirituali incontriamo i miti della creazione.

Persefone e Demetra

Il mito greco di Persefone (Proserpina, per i romani) e sua madre, Demetra (Cerere), dea della terra e dell’agricoltura, spiega il ciclo naturale di crescita e declino a cui è soggetta ogni forma di vita. Dea bella e verginale, Persefone suscitò l’amore di Ade (Plutone), il dio degli inferi, che la rapì e la tenne con sé, nelle profondità della terra, finché non accettò di diventare sua moglie. Demetra, invece, era piena di rabbia e decise di non permettere che nulla crescesse e si sviluppasse nella Natura finché sua figlia non fosse tornata.

Di fronte a una carestia devastante, gli dei cercarono di persuadere Ade a liberare Persefone. Egli accettò, ma prima che la giovane dea se ne andasse, le diede da mangiare tre semi di melograno, frutto che era simbolo del matrimonio. Ade dichiarò che con questo gesto Persefone dimostrava di voler essere anche la sua amante e la fece restare con lui per tre mesi ogni anno, un mese per ogni chicco di melograno mangiato. Così, ogni inverno, Persefone discende negli inferi e la terra, insieme a sua madre, va in lutto, tanto che in primavera, quando Persefone ritorna, Demetra permette a tutta la natura di ritornare in vita per altri nove mesi.

Libertà dalla tristezza e dalla rabbia

Mangiando i chicchi di melograno, Persefone ha la solita reazione di qualcuno intrappolato nell’inferno personale dell’infelicità: col tempo, si attacca all’infelicità, per abitudine o per paura di scegliere l’ignoto. Spesso siamo attratti da cose che temiamo o che ci causano dolore. Ne Il Profeta, Kahlil Gibran descrive la partenza di Almustafa dalla città di Orfalez:

“Ma mentre scendeva dalla collina, una tristezza lo circondò e pensò nel suo cuore: come potrei andarmene in pace e senza problemi? No, non potrò lasciare la città senza essere ferito.
Lunghi sono i giorni di sofferenza tra le sue mura, lunghe sono le notti di solitudine; e chi potrebbe lasciare il suo dolore e la sua solitudine senza rimpianti?
Ho disseminato le strade di così tanti spiriti spezzati e così tanti bambini, nati dalla passione che ho provato, vagano nudi per queste colline: non potevo lasciarli senza un cuore spezzato e spezzato.
Non mi tolgo solo il cappotto, mi strappo la pelle con le mani.
Non lascio dietro di me un pensiero, ma un cuore che la fame e la sete da me sopportate hanno addolcito.”

Gibran parla anche di libertà dalla sofferenza, che descrive come un “guscio che imprigiona la nostra comprensione”.
“Come bisogna rompere la crosta del nocciolo per dare alla luce il suo nucleo, così bisogna conoscere la sofferenza.
E se il tuo cuore potrà meravigliarsi dei miracoli di ogni giorno della tua vita, la sofferenza non ti sarà meno cara della gioia.
Perché è bene accogliere le stagioni del tuo cuore così come hai sempre accolto volentieri le stagioni che passano sul tuo campo.
E con serenità contempla gli inverni dei tuoi dolori.”

Nel corso della nostra vita abbiamo avuto molte “zone” piene di felicità e gioia, ma ci sono state anche “zone” dolorose che ci hanno segnato e che possiamo paragonare alla terra oscura dell’Ade, dalla quale vogliamo uscire – anche se una piccola parte di noi è abbastanza affascinata da restarci. Fino a quando non ci libereremo da ciò che ci tiene prigionieri, lotteremo duramente per andare avanti. Lasciare andare la tristezza e la rabbia può essere un piacevole esercizio da fare nel primo mese di primavera, perché è bene ripartire da nuove basi prima di tuffarsi nel nuovo anno. Con la nuova luce che questa verità ci porta, saremo liberi di perseguire nuove esperienze e scegliere la nostra direzione senza essere ostacolati da vecchie paure o risentimenti.

La ragazza con il kimono di seta

Una storia Zen racconta di due monaci che viaggiarono a lungo, da un monastero all’altro, e che, a un bivio, incontrarono una bellissima giovane donna che era in difficoltà. Una pioggia torrenziale aveva reso la strada fangosa. La donna doveva attraversare la strada dall’altra parte, ma se lo avesse fatto, lo spesso strato di fango avrebbe rovinato il bellissimo kimono di seta che indossava. Pertanto, uno dei monaci la prese tra le braccia e così la portò dall’altra parte della strada, poi la lasciò cadere dolcemente. La donna, molto felice che il fango non avesse lasciato una macchia sul suo kimono, lo ringraziò con tutto il cuore.
I due monaci proseguirono il loro cammino in silenzio, si lavarono, si cambiarono e, dopo cena, il secondo monaco esplose: “Mi avete stupito e scandalizzato! Lo sapete che la nostra condizione non ci permette di parlare con una donna e tanto meno di tenerla tra le braccia?”
Il primo monaco rispose con un sorriso: “Mio caro fratello! Ho messo giù la donna appena l’ho incrociata dall’altra parte della strada. Ma tu non l’hai fatto…”

Annota su un pezzo di carta tutti gli aspetti che ti rendono triste e turbato. Immagina di avvolgerli in uno splendido kimono di seta. Poi portateli dall’altra parte della strada e lasciateli lì.

Tecnica yogica semplice n. 1

Appiattimento e saggia risoluzione dei conflitti

Descriveremo inoltre un metodo per appianare e risolvere saggiamente un conflitto o una disputa che abbiamo con una persona, che realizzeremo come il monaco della storia, e che si chiama “Il segno del numero otto”. Graficamente, il numero otto è rappresentato da due cerchi tangenti, suggerendo armonia e consenso. Quando torneremo da questo esercizio di visualizzazione, saremo consapevoli di un rinnovato senso di pace, perdono e liberazione.

  1. Ci siederemo sulla nostra sedia con lo schienale alto in una posizione di meditazione yoga e poi lasceremo che la nostra immaginazione ci porti oltre una bellissima nuvola turchese o viola verso uno spazio dove ci sentiamo al sicuro. Può trattarsi di un luogo specifico in cui abbiamo sperimentato uno stato di sicurezza, oppure possiamo costruire una stanza del genere nella nostra immaginazione.
  2. Ci guarderemo intorno finché non troveremo un posto dove sederci e sentirci perfettamente a nostro agio. Inviteremo una persona con cui abbiamo un problema da risolvere a sedersi di fronte a noi. Disegniamo il segno del numero otto attorno a noi in modo tale da posizionarci ciascuno in uno dei due cerchi tangenti.
  3. Diremo a questa persona tutto ciò che abbiamo nel cuore, tutto quello che c’è da dire, non importa quanto difficile o doloroso possa essere, e quando avremo finito, diremo a noi stessi: “Sì, ho agito nello spirito della Verità Divina”.
  4. Poi ascolteremo a nostra volta l’altro mentre ci dice tutto quello che ha da dirci, non importa quanto ci sia difficile ascoltare o accettare, e quando avremo finito di ascoltare, diremo a noi stessi: “Sì, abbiamo agito nello spirito della Verità Divina”.
  5. Ora che abbiamo ascoltato i pensieri dell’altro che stavamo per condividere, guardiamo attentamente per vedere quale dono abbiamo tra le mani per donarlo all’altra persona. È un oggetto importante sia per noi che per l’altra persona, che è necessario donare affinché avvenga la guarigione delle ferite emotive. Cos’è questo regalo? Cosa rappresenta per noi?
  1. Mentre offriamo il nostro dono all’altra persona, noteremo il dono che ha preparato per noi. È anche un oggetto importante per entrambi che dobbiamo ricevere affinché avvenga la guarigione. Cos’è questo oggetto? Cosa rappresenta?
  2. Ora ci rendiamo conto che ci sono dei fili d’argento molto sottili che collegano il nostro essere all’essere dell’altra persona. Prenderemo delle forbici d’oro – l’oro è uno dei metalli più puri – e, dopo aver tagliato ogni filo, diremo a noi stessi: “Sì, ho agito nello spirito della Verità Divina”.
  3. Visualizziamo quindi come una luce chiara, azzurro-blu (equilibrante e purificante il colore rosso della rabbia e del conflitto) si alza dal suolo, lungo l’intero contorno di ciascuno dei due cerchi in cui siamo seduti, fino a raggiungere circa 50 cm sopra le nostre teste. Quindi visualizziamo noi stessi e l’altra persona all’interno di un cilindro di luce blu.
  4. Separiamo i due cilindri, mettiamo un coperchio magico sopra ciascuno e chiudiamo gli occhi, in modo che nessuno di noi interferisca energeticamente con l’altro. Siamo entrambi liberi.
  5. Quando siamo pronti, riacquistiamo lentamente la consapevolezza del nostro corpo e lasciamo che il nostro colore preferito ci riporti nella stanza. Apriamo gli occhi.